Purtroppo, ahimè, negli ultimi tempi sentiamo ancora parlare con molto insistenza di crisi. Crisi che cominciano con la borsa e che, in un modo o nell'altro, bisognerebbe cercare di non far "arrivare" all'economia reale.
Nel 2008 si è assistiti alla più grande crisi, prima finanziaria e subito dopo economica, dal secondo dopoguerra, paragonabile per fortuna sonolo nelle fasi inziali alla grande depressione del '29.
Una crisi partita dai mutui cosidetti "subprime", a cui sono seguiti grandi fallimenti bancari, e tutto il resto è storia conosciuta.
Stavolta, nel caldissimo pre-ferragosto, i debiti sovrani di alcuni paesi, tra cui purtroppo l'Italia, hanno fatto ritremare le borse nel timore di una insolvibilità di taluni paesi. Lo spread tra BtP e Bund tedeschi è finito oltre i 400 punti e gli speculatori hanno trovato terreno fertile, per fortuna bloccati dall'intervento della Bce nell'acquisto dei titoli di Stato italiani e dallo stop temporaneo delle vendite allo "scoperto", capisaldo di alcuni speculatori.
Ma quante volte avrete sentito parlare di crisi a forma di "V" piuttosto che di "U" o di "W"? Si potrebbe parlare addirittura di una "W" che può raggruppare la crisi del 2008 e questa?
Nella crisi del 2008/2009 c'è stata una grande discussione tra gli economisti che prevedevano una crisi a V, cioè una profonda caduta seguita da un'altrettanto rapida risalita e quanti invece hanno immaginato una U, cioè con una ripresa debole e che sintetizza una certa difficoltà a rientrare in spirali di crescita veloce e robusta come nei decenni passati.
La ripresa ad "U" è quella che poi ha trovato maggior consenso tra i vari economisti per diversi motivi:
1) Una ridotta capacità delle banche di erogare prestiti con conseguente debolezza nelle disponibilità finanziarie di famiglie ed imprese
2) Un'occupazione fortemente danneggiata, che stenta anche in conseguenza di quanto sopra esposto a tornare ai livelli precrisi
3) Una bassa redditività delle imprese dovuta al rischio di solvibilità dei "debiti" che ci si è accolati per far fronte alla crisi a cui ne consegue una profonda incertezza nell'assumere personale e nel fare investimenti
4) Una incertezza nei consumi privati ed un'aumento talvolta della propensione al risparmio proprio per far fronte a periodi in cui per esempio si potrebbe rimanere "senza lavoro"
5) Rischi connessi alle strategie di uscita, le cossidette "exit strategy" dalle accomodanti politiche monetarie e fiscali che i governi hanno dovuti applicare per rilanciare l'economia
E proprio quest'ultimo punto potrebbe paventare la temuta crisi a "W", quella che abbiamo temuto (e che forse non è ancora scongiurata) negli ultimi giorni. La solvibilità dei paesi che hanno aumentato a dismisura il loro debito pubblico hanno fatto temere ad un default dei bilanci di questi paesi, con conseguenze ovviamente assai problematiche per il mondo intero. Una debole ripresa succeduta da una nuova profonda e pesante ricaduta, a forma di W, a cui purtroppo non si potrebbe far fronte con gli stessi strumenti del 2008/2009.
Seppure l'abbiamo scampata per il rotto della cuffia diventa quanto mai importante attuare tutte quelle politiche di rientro dal debito pubblico, per ridare fiducia agli investitori, alle imprese, ai consumi privati, alla finanza. Riforme strutturali basate si su una riduzione della spesa pubblica ma che assolutamente non devono dimenticare l'attenzione alla promozione di impresa, alla creazione di "valore" reale e tangibile, non di aria fritta ..
Qualcosa che sappia indirizzare le risorse verso quello che dovrà essere il motore della ripresa. Direi, i giovani?.
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