Cosa vuol dire "industria" ai giorni nostri?
Concetto filosofico o cultura del passato? Futuro prossimo o speranza melanconica?
Quello che è certo è che la nostra industria, il nostro manifatturiero, cuore pulsante di un'economia vincente a partire dagli anni '50, un'economia che ha creato il sogno della casa, dell'auto, del frigorifero e dell'aperitivo è ormai abbandonata a se stessa, vittima semplicemente delle "non" scelte di una classe politica dormiente e troppo compromessa.
Non si tratta più ormai di concetti filosofici che fanno dell'industria il capisaldo della società occidentale, magari contrapposta ai concetti di natura, decrescita o uguaglianza. Non si tratta di questo.
Il concetto di economia industriale può essere più dolce: i beni e servizi che tutti consumiamo sono frutto di questo modello sociale che, come tale, va sostenuto indipendentemente dai concetti sociali progressisti, futuristici o socialdemocratici che più o meno condivido e condividiamo.
Che fine ha fatto la manifattura che genera non solo pil ma anche ricchezza visibile, indotto, lavoro, speranza?
Quali politiche a sostegno della ricerca, dell'export, dell'innovazione, delle start-up, della sburocratizzazione di un paese ingessato in un passato ormai obsoleto e fastidiosamente vecchio?
Quali politiche del merito, dell'incentivo, dello sprono, coltivatore di idee giovani, vincenti ed ambiziose?
Non lasciamo la manifattura a se stessa.
Forse, e mi sbilancio a dirlo, vuol dire lasciare un paese che ha dato speranza a molti negli ultimi cinquant'anni, completamente abbandonato a se stesso......
E l'ultima chiamata. Questa qua.
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